Oltre la tecnica:
l’eredità invisibile dei Maestri
Ho già parlato di questo argomento in un post precedente, “Allievi e Insegnanti”, dove riflettevo sulla figura dei Maestri: chi sono, cosa possiamo studiare in loro, cosa possiamo imparare dal loro lavoro.
Oggi torno sull’argomento, ma con una domanda diversa: esistono davvero i Maestri?
A scuola avevamo un maestro – o, per i più giovani, più maestri – e la loro funzione era chiara: sapevano cose che noi ignoravamo. Non sapevamo fare di conto, leggere, scrivere. Non conoscevamo il Piemonte, la Sicilia, o il nome del fiume che attraversa la Pianura Padana. Eravamo “ignoranti” nel senso più letterale: non conoscevamo.
I maestri aprivano quelle porte. Ci insegnavano a leggere, a scrivere, a fare calcoli. Ci insegnavano storia e geografia. Alle medie approfondivamo. Negli studi successivi specializzavamo. Tra queste materie, anche l’arte: la pittura, il colore, la composizione.
Ma oggi, in fotografia, cosa può insegnarci un Michelangelo della scultura, un Sebastião Salgado o un Gianni Berengo Gardin?
La tecnica, se siamo fotografi, dovremmo già padroneggiarla. Il triangolo dell’esposizione dovrebbe essere parte di noi. Così come il funzionamento della nostra macchina fotografica. Sarebbe come fare il meccanico senza conoscere le parti di un motore o come si usa un cacciavite.
E allora, cosa ci resta da imparare dai Maestri?
A usare la sensibilità. A scattare con gli occhi e con il cuore. Prima di ogni foto ci dev’essere il nostro sguardo: osservare, lasciarsi colpire, emozionarsi. Poi costruire: decidere cosa vogliamo dire, cosa mettere in evidenza. Infine lo scatto, con i parametri giusti per fissare quell’emozione in un’immagine.
Perché la vera eredità dei Maestri non è la tecnica: è la capacità di vedere.
Se riusciamo a farlo, a trasformare un’emozione in fotografia, allora sì, faremo scatti splendidi.
Alla prossima.